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AFFARI ESTERI

ARBITRI E COERENZA, ET VOILA’

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Augustin Pichot, argentino e numero due di World Rugby, non le manda certo a dire e, bisogna ammetterlo, in questi pochi mesi di attività al vertice del rugby mondiale ha avuto il pregio di sollevare questioni davvero importanti, adesso è arrivato alla questione arbitrale e qui la cosa si fa spinosa.

I fatti sono noti. Capita che , durante il recente match di Championshipm fra Australia e Nuova Zelanda,  Owen Franks metta le mani in faccia (eye gouging?) ad un avversario. Non punito dall’arbitro in campo, il francese Romain Poite, nemmeno la SANZAAR decide poi di procedere contro il giocatore colpevole del misfatto e qui arriva Pichot.

L’argentino, rifacendosi a fatti analoghi che avevano provocato a giocatori squalifiche pesanti, si propone subito con il tema della coerenza. Dice Pichot:” Il processo è sbagliato, a livello SANZAAR così come di Sei Nazioni dobbiamo trovare una nostra coerenza….“.

Coerenza solo di giudizio fuori dal rettangolo di gioco? Pichot va ben più in là: “Un discorso analogo è quello della coerenza dell’arbitraggio. Certo, ci possono essere chiamate sbagliate, siamo tutti persone umane e abbiamo grande rispetto per gli arbitri, ma serve che la coerenza sia universale”.

A qualcuno queste dichiarazioni saranno parse solo di buon senso ma dentro questo processo verbale c’è una sottile affermazione inibitoria che si evidenzia molto bene nel finale della dichiarazione di Augustin Pichot:” Dobbiamo centralizzare il processo di arbitraggio e lavorare insieme in modo globale. Serve indipendenza, ma serve anche senso comune. Dobbiamo farlo, perché dobbiamo dare coerenza”.

Cavilliamo sul termine “coerenza”. Avere coerenza vuol dire, citando il Dizionario Garzanti, “non presentare contraddizioni” essere quindi “conforme a qualcosa a cui si è collegati“.  Vediamo adesso due soli punti rispetto alle dichiarazioni del vice-leader mondiale del nostro sport.

Punto primo. Se il termine di per se ha un significato di “conformità” il Pichot sembra spingersi dichiaratamente verso la “uniformità” del metro di gioco del rubgy nel mondo, l’argentino richiama la necessità ci sia un unico rugby mondiale, un unico stile di gioco. Possiamo, fino a qui, intanto, essere d’accordo con lui? Difficile. Il sud ed il nord del mondo giocano a rugby in maniera molto diversa, chi deve prevalere? Perchè? La stessa situazione non punita da Poite, anche se piuttosto palese, si ripropone in maniera diversa su diverse piazze dello stesso rugby europeo.

Il secondo punto è ancora più spinoso. Volessimo dare ragione a Pichot, del tutto o in parte, chi deve determinare lo stile di gioco, la corretta posizione in campo e nelle varie fasi? L’arbitro? Il dilemma è antico e non sono pochi quelli che pensano che siano gli arbitri che devono determinare in campo lo stile della partita, le stesse persone si sentono però libere di arrabbiarsi se l’arbitro è “troppo protagonista” in campo oppure se ogni arbitro ha una sua interpretazione della partita. Posto che questi due ultimi elementi sono comunque discutibili pare evidente che Pichot ha sbagliato mira.

L’argentino dovrebbe semmai invocare coerenza in “area tecnica”, là dove si fanno le regole e si invocano raccomandazioni sul gioco e sugli atteggiamenti in campo, agli arbitri ed ai rispettivi collegi giudicanti sarebbe il caso venisse indicata la sola facoltà di “giudice” e non di “legislatore”. La coerenza di arbitraggio si dovrebbe semmai rifare alla uniformità di giudizio rispetto alle raccomandazioni dell’area tecnica, non alla applicazione di uno stile di gioco.

In tutti i casi lo stesso voler “uniformare”, ben diverso da “conformare”, lo stile di gioco ad un unico modello è molto discutibile, forse irricevibile e non solo perchè sarebbe di una noia mortale.

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