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FIR E DINTORNI

RUGBY ITALIA: GUARDIAMO TROPPO FUORI

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Guardiamo troppo fuori e fuori non ci amano.

Non ci amano gli altri sport italiani, dicono di noi che siamo una Federazione ricchissima che dà risultati sportivi pari a zero; è sproporzionata, secondo loro, che poi parliamo quasi sempre di quelli del calcio, la visibilità che abbiamo rispetto ai frutti davvero raccolti.

Non ci amano all’estero, francesi ed inglesi che ci farebbero la pelle anche subito, ci hanno di fatto buttato fuori dalle Coppe europee. EPCR non è più nulla per noi ed il nostro peso lì dentro è zero, la vecchia federazione delle coppe europee ERC aveva altri obiettivi, per loro eravamo una Nation del Sei Nazioni, per EPCR siamo quelli da accontentare anche se non per molto. Intanto, con la “Gavazzi Cup” abbiamo noi stessi piazzato un team russo in Challenge Cup  ed ora stiamo aprendo le porte a spagnoli e tedeschi.

La stampa estera ci vomita addosso ultimamente con frequenza ossessionante, è evidente il gioco politico in corso: noi non serviamo più, non siamo riusciti ad essere il contraltare europeo al Giappone nel Pacifico ed all’Argentina sul fronte atlantico, forse la pazienza delle altre cinque nazioni europee è al limite e noi ci apprestiamo a giocare un Sei Nazioni con un allenatore perdente, in partenza e mal tollerato dalla squadra e dallo staff.

Anche World Rugby si sta chiedendo tutti i soldi che ci ha dato per crescita e formazione a cosa sono serviti, iniziano le prime differenziazioni, ci danno il seggio stabile in Consiglio ed il Capo della FIR ci dice che è un grande risultato ma è impossibile non abbia capito anche lui che quando ti danno certe promozioni significa che è perchè devi cominciare a camminare con le tue gambe e le nostre gambe sono invece ko.

Ma è tutta colpa nostra. Guardiamo solo fuori, è la strategia stessa della FIR guarda solo fuori, fare tutto e solo per la Nazionale significa poi solo questo. La FIR ha tagliato le gambe al movimento ed ancora non si accorge che sono le sue gambe. Una operazione politica, quella degli ultimi anni, di pura follia, fatta di spese pazze, clientele politiche, gestione iper-verticistica e la esclusione dagli obiettivi della unica vera essenza di un movimento sportivo: i club.

Guardiamo tutti troppo fuori perchè non abbiamo fiducia che il nostro insuccesso sportivo possa tramutarsi in nuova crescita, nuovo movimento ovale, cambiamento e ripartenza, allora eccoci tutti a guardare, scrivere, osannare, discettare, analizzare, approfondire, riassumere, leggere Tolone & Tolosa, Quins & Saracens, Racing & Montpellier, solo loro e  poi persino i giapponesi diventano interessanti. Noi ovali italici in verità stiamo perdendo la voglia di volerci bene.

Guardiamo fuori e fuori non ci amano, celebriamo giocatori stranieri fin dal primo kick visto in tv o letto sul web, poi vediamo un mediano italiano arrivare in Nazionale e facciamo finta di conoscerlo quando invece  un ottanta per cento di noi non sa neanche da dove viene e quanti sacrifici ha fatto, uscendo dal campionato italiano, per arrivare li. Mica arriva da uno di quei tanto magnificati campionati stranieri,  per lui c’è voluto il gioco del “chi l’ha visto”. Quanto è difficile per un giocatore italiano giocare davvero a rugby, se viene da un club può dimenticarsi di esserci, in alternativa lo facciamo prima girovagare per le accademie, senza una sua maglia di appartenenza e senza un obiettivo sportivo giornaliero, e poi gli diamo campionati abbandonati da frequentare in club con pochi soldi e tenuti in piedi con gli stuzzicadenti da volonterosi e grandi amanti del nostro sport.

Guardiamo fuori ed invece dobbiamo guardare dentro, dentro di noi prima di tutto, dentro il nostro movimento, volergli bene e crederci, educarsi al fatto che la frase “questo è il nostro rugby” non è una condanna a morte ma una risorsa, una opportunità per ripartire. Il rugby italiano aveva fatto grandi cose per arrivare fino a qui, ora è ko, noi sappiamo come si fa a risalire più di qualsiasi altro ma dobbiamo cambiare molte cose.

Guardiamoci dentro.

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