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FIR E DINTORNI

GLI ARBITRI ITALIANI DEVONO TORNARE INDIPENDENTI

Nigel-Owens

Bravo ed un po’ commediante, Nigel Owens arbitro gallese fra i migliori al mondo

Il bravo Nigel Owens, noto arbitro internazionale gallese che fischia bene e distribuisce ramanzine a destra e a manca con stile degno di una commedia di Broadway, è sicuramente l’esempio meno calzante di quello che si intende da queste parti quando si parla di buona classe arbitrale. Quelli come Owens sono situazioni di vera eccellenza, talmente particolari da potersi permettere in campo cose che non possono venire generalmente concesse, eccezioni che confermano la regola ma allora la domanda diventa pertinente: quale regola?

L’arbitro di rugby, come negli altri sport di squadra, si muove sul filo di un regolamento di gioco ma ha la sua principale attenzione rivolta ad codice etico certo, ineludibile, una forma che lo vincola ad alcuni comportamenti, primo fra tutti la terziarietà. Un arbitro in campo è “terza parte”  quando è serenamente conscio del fatto che potrà commettere degli errori dei quali nemmeno se ne accorgerà, almeno nell’immediato, vive invece di un condizionamento quando applica regole o anche solo modalità di gestione della propria presenza volte ad evitare o garantire situazioni anche solo percepite e magari espressamente richieste da nessuno. Il condizionamento, involontario o volontario, è superabile solo con la caparbia esecuzione di stili e comportamenti tipici del codice etico e non certo del regolamento di gioco che semmai è vittima della inapplicabilità del primo.

Quindi la “terziarietà” ed il rispetto del codice etico è per l’arbitro al di sopra dello stesso regolamento di gioco: su quest’ultimo è certo possa capitare l’arbitro commetta errori ma se il primo codice è pienamente rispettato sarà facilissimo prima di tutto per lui e poi per gli attori del match accettare le sue decisioni.

La posizione etica e di autonomia di giudizio è quindi per un arbitro molto più importante della sua capacità tecnica. La prima è necessaria, per la seconda ci si può formare, si può crescere o ci si può fermare ad un certo livello, di Nigel Owens anche in Galles ne hanno uno solo. Principalmente per questi motivi, ma ce ne sarebbero altri cento, sottoporre il Gruppo Arbitri di una federazione sportiva alla autorità ed alle direttive del proprio settore Tecnico è un grandissimo errore, una mancanza di vision  dello sport e della sua gestione, una valutazione non sufficiente delle cause e degli effetti su campionati e su tutte le componenti del proprio sport che una decisione del genere comporta. Questo è successo in FIR.

E’ così che è saltato per aria il sistema arbitri Cnar, non più organismo autonomo ma sottoposto gerarchicamente ed operativamente alla gestione del settore Tecnico Federale (CTF) il quale risponde direttamente al potere “politico” federale. Il Cnar è stato poi palesemente condizionato fin nella scelta della sua nuova sede operativa trasferita tout court a casa del Presidente federale, a Calvisano. Per questa nuova sede a Calvisano è assolutamente corretto tutti si siano chiesti: ma perchè gli arbitri dovevamo cambiare sede? perchè il Presidente aveva bisogno di averli così vicini al suo ufficio? Cosa ci deve fare mai? Che tipo di controllo deve esercitare? Un organismo autonomo, come dovrebbero essere gli arbitri, non è infatti sottoposto a controllo operativo.

Demolita la “indipendenza evidente” del gruppo arbitri del rugby e sostituita con una “indipendenza apparente” il meccanismo ha prodotto una sequenza di casi, in campo e fuori, che razionalmente non danno spazio ad equivoci, scelte peraltro sempre a senso unico hanno alimentato il sospetto, a questo presto si è aggiunto l’aggettivo “legittimo”;  il meccanismo è andato in crisi persino nell’elemento “trasparenza” ed il grave sta qui.

Prendiamo ad esempio il più evidente caso di “male-arbitraggio” degli ultimi tempi: la finale scudetto 2013-2014 fra Calvisano e Rovigo, un evento che avrebbe meritato, anche per rispetto dei vincitori in campo, una trasparenza diamantina nel post partita, cosa che non si è vista.

L’arbitro rodigino Stefano Traversi quel giorno era in tribuna, la partita era andata come si sa, guidata dal pessimo e casalingo arbitraggio di Damasco, così alla fine del match Traversi urla ed offende palesemente il collega in campo. Il suo gesto viene segnalato e Traversi, subito giudicato dall’organo competente, si becca sei mesi di squalifica; se le stagioni girano nel settore Tecnico della FIR come a casa nostra dovrebbe ora tornare in attività, ancora non si vede all’orizzonte.

L’arbitro Alan Falzone, TMO del match in questione, dopo la partita fece un disgraziatissimo tweet, si lamentava che durante il match il Damasco avesse scaricato ogni decisione sul TMO invece di gestirle in campo e, soprattutto, scriveva che pensava meritarsi quella finale più del designato.  Da queste parti è già stato dato un parere durissimo su Falzone e non si retrocede di un millimetro ma, ci si chiede, Falzone è stato sottoposto ad un giudizio o no? L’unica cosa che si sa di Falzone è che non compare in alcun tabellino di gara, non è più stato designato ad alcun match, ma la domanda è: che provvedimento ha subito? Il suo nome non compare in alcun comunicato, a differenza di Traversi non ci sono evidenze di procedimento o sanzioni, allora Falzone perchè non va in campo da sei mesi?

La trasparenza del gruppo arbitrale, come appena dimostrato, è una condizione operativa, non una filosofia, passa per procedimenti standard codificati e visibili che non devono lasciare spazio all’immaginazione o a ipotesi di condizionamenti, ma queste sono tutte cose impossibili se gli arbitri rispondono non a loro stessi ma al capo di un altro settore che ha interessi contrastanti, che per sua natura ragiona e si muove naturalmente in esecuzione di superiori direttive, che rappresenta tecnicamente scelte politiche altrui:  il settore Tecnico Federale appunto.

Nella vicenda  Calvisano-Rovigo finale dello scorso anno abbiamo visto in campo prima e dopo comportamenti operativi standard? La risposta è solo un “no” e così vale per molto altro.

Il Cnar tramite il suo nuovo Presidente Vancini, designato dal sistema di Gavazzi, ha accettato questa condizione di sottomissione ad un settore che dovrebbe essergli invece parallelo, ha accettato di spostare persino la sua sede a casa dei campioni d’Italia per avere una inspiegabile contiguità, ha accettato si sollevasse contro il mondo arbitrale il sospetto a partire dalle designazioni, altro elemento che ha perso visibilità operativa e su cui molto si chiacchiera. Per tutto questo non risulta reazione istituzionale, questo è un altro elemento che la dice lunga.

Il Cnar non è più indipendente e non ci sono altre strade: deve tornare ad esserlo.

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