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FIR E DINTORNI

A QUEI VOTI IN PIU’ PER LE TRENTA ACCADEMIE

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Mario Sironi – PERIFERIA – (1922)

Ogni tanto si legge di qualche Società di rugby che riesce ad avere un campo dove giocare, la Società esisteva già, magari con un centinaio di ragazzini o una squadra in Serie C, le mancava il campo, si era arrangiata fino ad allora saltando qua e la e poi finalmente è arrivato il titolo sul giornale: ecco il campo da rugby. Ecco le acca al loro posto, magari non ci sono ancora gli spogliatoi che il Sindaco non ha ancora deliberato, ma  il campo c’è. Evviva.

Poi ci sono addirittura Società che, promosse in categoria superiore, cercano un campo decente e definitivo dove affrontare l’anno successivo la nuova e meritata fatica, un posto dove poter ospitare meglio se stessi, gli avversari, gli arbitri e la categoria in più costata tanti sacrifici. Sono flash di un movimento genuino ma anche povero, che si arrangia dove può e come può, per amore e per passione.

Pochi giorni fa un papà mi raccontava della situazione del team del Nord-ovest dove  suo figlio ha cominciato a giocare in Under8,  un campo di erba dalle dimensioni poco più di un campo da basket ricavato da uno spazio pubblico, tanta voglia di fare, tanto impegno e tanti sorrisi in un ambiente senza però alcun pathos ovale e soprattutto, zero linee sul campo, zero spogliatoi.  Ho sentito altre storie, tanto belle quanto indesiderate, di questo tipo, cose che piacerebbero tanto alla rigogliosa narrazione di un Marco Pastonesi, storie che ci appartengono sempre di più, periferie di un movimento che cresce nonostante carenze pesanti ma cresce anche sempre meno, colpa della crisi economica ma forse anche del fatto che è più facile per un ragazzino fare altro.

Schiantarsi contro questa realtà, andare in giro a vedere rugby d’occasione, buon rugby di ragazzini che, in condizioni a volte difficili,  si sentono un po’ O’Driscoll ed un po’  Dan Carter, regala la vera dimensione del rugby di club.

Questo è il rugby degli emergenti, dalle Under8 alle Under14 o sedici, per moltissimi di loro è così, è una emergenza continua ma, magari, fra quei ragazzini del campo non segnato, fra quei ragazzini che tornano a casa subito perchè non c’è lo spogliatoio, fra loro c’è il piccolo talento, il piede buono, il nuovo piloncino, chissà magari anche della Nazionale.

Trenta Accademia per fare voti, lo ha detto Luciano Benetton ed è osservazione assolutamente condivisible, sono il frutto di un vertice che pensa di essere grande perchè ha un titolo e si dimentica di quanta periferia ci sia in quel titolo, periferia che vuole il rugby e se lo sta costruendo, dove ogni club fa la sua parte, da solo.

Trenta Accademie per politica, per gioco internazionale, per vanto e per sete di controllo totale, per togliere ai club, prima possibile, prima che diventino davvero parte del rugby, quei ragazzi che in Accademia possono andarci.

Trenta Accademie che costeranno come trenta campi nuovi da rugby, in verità molto di più, ma solo trenta  campi valgono almeno tremila nuovi praticanti in più che giocano tanto e poi chissà, magari non arrivano tutti, ma chi si distingue poi ci arriva a fare il buon rugby e poi magari anche l’ Accademia. Una delle tre, si spera.

Trenta Accademie sono voti in più? Sappiano quei voti in più che il modello italiano di queste Trenta Accademie spegne la luce al rugby di base.  Di tutti, anche il loro.

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